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QUANDO LONGEVITA’ NON E’ SINONIMO DI QUALITA’

17 Dicembre 2015

di Benedetta Marigliano

In Italia, secondo quanto emerge dal III Rapporto dell’Istat Benessere Equo e Sostenibile (Bes) 2015, rispetto ai restanti paesi europei, fatta eccezione per la Spagna,  la vita media attesa della popolazione è più lunga di circa 2 anni.
Tale “primato” può apparire positivo ma, ponendo maggiore attenzione, si riscontrano divergenze sia tra longevità ed autonomia nelle attività del vivere quotidiano sia tra salute fisica e psichica.  
Studi epidemiologici descrivono come almeno 1 italiano su 10 sviluppi un disturbo depressivo una volta nella vita, con una maggiore incidenza al  Centro-Nord, nonostante il maggior consumo alcolico. Tale quadro potrebbe essere determinato dall’aumentata attività aerobica del Centro-Nord rispetto al Mezzogiorno dove il maggior numero di soggetti “sedentari” si rileva in Sicilia, Puglia e Campania.
L’emergere dei disturbi neuro-psichici è da attribuire sia al bias epidemiologico (dato dal progressivo invecchiamento della popolazione italiana che ha come conseguenza l’aumento dell’incidenza delle affezioni della sfera cognitiva) che allo stile di vita occidentale (Western Diet e sedentarietà): si stima che il 45% degli italiani di 18 anni e più è obeso o in sovrappeso.
E’ chiaro pertanto che modificando la seconda variabile si può agire anche sulla sfera psichica fornendo, attraverso modifiche ambientali (attività aerobica e alimentazione), un approccio terapeutico efficace, economico e soprattutto di facile gestione sia per il medico che per il paziente.
Dati di letteratura confermano come da un punto di vista bioumorale un paziente con un disturbo depressivo diagnosticato secondo i criteri del DSM (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) presenta uno stato pro-infiammatorio (predominanza di citochine T-helper 1). Il Professor Su nella sua metanalisi supporta tale teoria ritenendo come il ruolo di antinfiammatorio degli acidi grassi polinsaturi (i.e. omega-3 PUFAs) sia di supporto preventivo e terapeutico non solo nei modelli murini ma anche nell’uomo.
In aggiunta, qualche settimana fa, la rivista Journal Nutrition  ha pubblicato un trial clinico randomizzato in doppio cieco condotto dal Professor Sepehrmanesh che ha confermato il ruolo anti-infiammatorio della 25-idrossivitamina D3 già a due mesi dalla sua assunzione. Tale studio ha avvalorato il ruolo della vitamina D3 sulla neurotrasmissione (clinicamente attraverso il questionario Beck Depression Inventory) e sui profili metabolici (assetto glicemico, lipidico ed indici di flogosi) in 45 pazienti con disturbo depressivo maggiore (diagnosticato secondo i criteri DSM-V).
Con questi studi non si vuole attribuire allo spettro dei disturbi mentali un’origine principalmente ambientale ma si vuole sottolineare come, partendo da una buona educazione nutrizionale, si possa prevenirne l’insorgenza, contribuendo così al miglioramento clinico dei pazienti nel breve e nel lungo periodo. 
 

http://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/26609167

 

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