di Benedetta Marigliano
Il termine “Globesity” si è recentemente consolidato nella letteratura scientifica e nel comune linguaggio ad indicare il problema di come l’obesità incida, su scala mondiale, soprattutto in termini di Disease Adjusted Life Years (DALYs) anche in virtù del rischio cardiovascolare e metabolico associato.
Per tali ragioni, molteplici strategie terapeutiche possono essere valutate partendo da un management più conservativo fino ad arrivare ad un approccio invasivo di chirurgia bariatrica.
Entrambe le modalità sono supportate da una equipe multidisciplinare proprio perché “one size does not fit all”.
Ciò vuol significare che non sempre la sola attività fisica associata ad un intervento dietoterapico nel grande obeso risulta efficace, ma si deve, talvolta, ricorrere all’ausilio farmacologico e/o chirurgico. La Food and Drug Administration ha, infatti approvato l’utilizzo di diversi farmaci per il trattamento dell’obesità: Locarserina (agonista selettivo serotoninergico),anticonvulsivanti quali il Topiramato, antagonisti degli oppiacei come il Naltrexone, antidepressivi come il Buproprione ed infine le Incretine come la Liraglutide.
In ambito di chirurgia bariatrica, invece, pare che tra i vantaggi di tale intervento ci sia, in molti pazienti, la remissione del diabete mellito di tipo 2. Ciò è stato ripetutamente rilevato da diversi studi epidemiologici, l’ultimo dei quali pubblicato a settembre ultimo scorso su JAMA Surgery da un gruppo di ricercatori olandesi.
Seppure nel grande obeso diabetico questa efficacia sia documentata, una meticolosa valutazione anamnestica è imprescindibile al fine di stabilire il migliore trattamento.
Su Lancet, infatti, un recente studio epidemiologico ha sottolineato come un metodo conservativo nei pazienti obesi non diabetici sia migliore anche in termini economici.
Nello specifico, Keating C et al. hanno calcolato, retrospettivamente dal 1987 al 2001, l’ammontare delle spese sanitarie in pazienti obesi trattati in modo conservativo (cioè indotti a modificare lo stile di vita) rispetto a quelle dei soggetti trattati chirurgicamente a seconda del sottogruppo di appartenenza: diabetici, pre-diabetici ed euglicemici.
Ciò che è emerso dalle loro analisi è che i costi sanitari totali erano più elevati nei pazienti obesi normoglicemici e prediabetici trattati chirurgicamente rispetto a quelli con medesimo assetto metabolico sottoposti ad intervento conservativo. Tale discrepanza economica non veniva invece rilevata in pazienti obesi diabetici.
La suddetta analisi retrospettiva vuole sottolineare ancora una volta come il ruolo decisionale terapeutico nell’obesità deve prendere in considerazione le comorbidità associate, il rapporto costo-efficacia, ma, soprattutto, deve sempre partire da un approccio conservativo basato su modifiche dello stile di vita.
http://www.thelancet.com/pdfs/journals/landia/PIIS2213-8587(15)00290-9.pdf